Il bullismo raccontato da una vittima

Il bullismo raccontato da una vittima

La scorsa settimana una giovane mamma ha deciso di raccontare l’esperienza di bullismo subita da suo figlio, testimonianza che ha riscosso particolare attenzione.

A seguito dell’articolo ho ricevuto molti messaggi da parte di altre mamme, una ad una stanno uscendo dall’ombra dell’impotenza che purtroppo questo fenomeno crea.

«Pronto, la signora X?»

«Mamma non c’è, ma posso raccontare io… sono io la vittima di bullismo».

Inizia così la nostra chiacchierata, lui è un giovane ragazzo di Torvaianica e con lucidità eviscera ogni emozione. Violenza verbale seguita da cyberbullismo, depressione e solitudine da cui un gesto estremo: «ho tentato il suicidio».

Anche oggi le analisi psicologiche non servono.

L’intervista

D: Quando sei andato in quella scuola avevi degli amici che ti portavi dietro?

R: Si, uno solo.

D: Ha avuto anche il tuo amico problemi?

R: Si, l’anno dopo.

D: Cosa è successo a te?

R: Il primo giorno di scuola tutto normale, con tutti i compagni ci siamo salutati e conosciuti. Dal secondo giorno iniziano le prese in giro da quattro ragazzi. Io dopo due mesi mi sono arrabbiato e ho risposto.

D: Succedeva durante la ricreazione o durante le lezioni?

R: Anche durante le ore di lezione, lo facevano quando i professori andavano al bagno o si allontanavano. Gli dicevo: «che cosa volete? io non vi ho fatto niente». e loro rispondevano: «perché ci va di prenderti in giro». Io ci sono rimasto male e da lì è iniziato un lungo cammino… io lo chiamo cosi, un lungo cammino di depressione.

D: Non siete mai arrivati alle mani?

R: No, mi hanno minacciato. Io correvo verso il bus fuori scuola per sfuggirgli.

D: Che cosa hai fatto, l’hai detto subito a casa? L’hai detto a qualcuno?

R: No, non ho voluto dire nulla perché mia madre era incinta e non volevo darle preoccupazioni.

D: Quindi ti chiudi per tutto l’anno e subisci… Chi ti ha aiutato?

R: Ci sono state due ragazze ad aiutarmi. Poi mi sono davvero chiuso e non parlavo più con nessuno, mi vestivo sempre di nero ero letteralmente affondato.

D: Continuavi ad andare a scuola o inventavi scuse?

R: Ci andavo volentieri per queste mie due amiche che mi facevano ritornare il sorriso. Poi hanno iniziato persino su WhatsApp e su Instagram. Io avevo chiesto di non mettermi nel gruppo di classe, loro hanno preso il mio numero e hanno iniziato anche lì. Avevo instagram e ho postato una foto, loro venivano a commentare sotto.

D: Cos’hai fatto?

R: Dopo qualche settimana ho fatto questa cosa… ho tentato di suicidarmi. Ho preso un laccio e me lo sono legato al collo, basta. Delle mie amiche hanno sentito qualcuno che si sentiva male e hanno chiamato i professori.

D: È successo a scuola quindi?

R: Si…

D: E i professori che hanno fatto?

R: Mi hanno detto di parlare con loro, e io ho iniziato a parlare. Loro hanno messo una nota ed hanno abbassato il voto in condotta di un punto. Anche il preside mi ha dato ragione ma poi è come non fosse successo niente.

D: Hai cambiato scuola?

R: No, ho finito l’anno. L’ultimo mese è stato il più bello della mia vita perché loro non mi prendevano più in giro. Poi per motivi di trasferimento ho cambiato scuola.

D: Adesso come va nella nuova scuola?

R: Va meglio anche se ho dovuto combattere per inserirmi.

D: In quel periodo riuscivi a studiare?

R: No, ero in depressione e mi hanno abbassato i voti.

D: Hai amici fuori dal contesto scolastico?

R: Sono un po’ timido…

D: Come mai nessuno ha deciso di andare dai carabinieri?

R: Non mi andava di creargli dei problemi, sono pure loro giovani.

D: Cosa vorresti che scrivessi?

R: Il bullismo è una ferita nell’orgoglio. Bisogna uscire più forti, reagire con moderazione e dirlo ai professori, ai genitori, a chiunque.

La mamma

Dopo aver salutato questo piccolo uomo parlo con sua mamma, e le faccio i complimenti per l’educazione, la sensibilità, la dolcezza e il coraggio di suo figlio.

D: Tu vorresti aggiungere qualcosa?

La cosa che mi ha fatto incavolare che quando sono andata a parlare con i professori era già una settimana che era passato quel giorno, in una settimana i professori mi hanno detto che l’ha fatto due volte, quel gesto. «E adesso me lo dite?».

I professori non aiutano.

Chiamando le mamme alla fine è stata definita come ragazzinata questa cosa e che era colpa anche di mio figlio.

D: Quali colpe ha tuo figlio?

R: Che è grosso, che veste male. Ho detto a mio figlio «difenditi», io sto sempre in ansia quando va a scuola.

D: A scuola ci sono controlli?

R: No, assolutamente. La scuola dovrebbe fare più controlli, io penso questo.

D: Come nel caso dell’altro ragazzo hanno visto tuo figlio più fragile?

R: Certo sì, loro da soli non sono niente: i bulli si fanno forti insieme. Da soli sono pecorelle. Se tornassi indietro una bella denuncia alla scuola. Mio figlio ha scritto un tema a una professoressa chiedendo aiuto e non gli è stato dato, io ho conservato quel tema.

D: Ora come sta tuo figlio?

R: Sta meglio, si è svegliato. Sono stata richiamata dai professori «suo figlio ha menato», e non è stato mandato al campo scuola per punizione.

Mio figlio mi ha detto: «mamma io non so più quello che devo fare».

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Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

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