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Quando il bullo ti tratta con affetto…

Come cogliere la differenza tra uno «scherzo tra ragazzi» e forme di bullismo o cyberbullismo. Riconoscere i comportamenti dei ragazzi e delle ragazze quando le parole non incidono ma lasciano un’incisione.

I genitori di Alice, una bambina di nove anni, mi raccontano preoccupati che ultimamente la bambina ha più volte vomitato la mattina, prima di andare a scuola. A questi episodi si è aggiunta una grande fatica di Alice ad andare a scuola, per paura di vomitare. Piange e, seppur accompagnata dal suo papà, insiste per tornare a casa. Piano, piano la piccola riesce a raccontarmi quello che sta accadendo nel gruppo della chat dei compagni. Viene schernita perché brutta, la chiamano la “strabica” perché ha un occhio imperfetto e, in particolare un compagno scrive più volte che fa “proprio cagare”.

Tanti racconti, simili a questo di Alice, ho ascoltato nella mia pratica clinica. Usare le parole per ferire, umiliare e sentirsi così più importanti e spavaldi, può fare soffrire e creare lividi profondi nel soggetto. Il cyberbullismo è espressione della violenza, sovente gruppale, perpetuata attraverso l’uso di parole, di termini che mirano ad offendere, aggredire, in modo sadico e a danno di una persona.

Tutti noi conosciamo il potere incisivo della parola ma, in alcuni casi, le parole più che incidere possono lasciare un’incisione, un segno difficile da cancellare, nel soggetto a cui sono rivolte. Soprattutto in età puberale e adolescenziale la violenza via web e/o attraverso gli smartphone, può mettere a rischio la cornice stessa che sostiene l’esistenza dei giovani. Effettivamente il web sembra operare una sorta di anestesia della sensibilità nei confronti dei sentimenti altrui, facilitando inoltre il manifestarsi di aggressività e sadismo in una modalità maggiore rispetto ai rapporti reali. Come se il virtuale legittimasse dunque una forma di violenza sull’altro più invisibile, meno soggetta quindi a leggi simboliche.

In Un livido nell’anima ho affrontato il tema della manipolazione affettivo/relazionale, nelle diverse articolazione che la violenza psicologica può prendere all’interno delle relazioni interpersonali. Bullismo, cyberbullismo sono fenomeni sempre più diffusi. I social network, il web possono rappresentare arene virtuali che attraggono comportamenti collettivi violenti. Tuttavia anche nei rapporti a due, l’abuso psicologico può svilupparsi nella sua invisibilità e pervasività.

Il soggetto diventa oggetto, bersaglio di una sistematica azione aggressiva che mira ad arrecare danno. 
Come cogliere la differenza tra uno “scherzo tra ragazzi” e forme di bullismo o cyberbullismo?

L’elemento che fa la differenza riguarda la premeditazione, vale a dire l’intenzione deliberata del bullo di nuocere all’altro, in una continuità cioè attraverso una condotta sistematica. Tale ripetitività differenzia la violenza psicologica dallo sfogo e dallo “scherzo”. Come un genitore può accorgersi che il proprio figlio viene ripetutamente offeso, manipolato o denigrato? Ma, soprattutto, perché i giovani, se vittime di tutto questo, rimangono nel silenzio e non chiedono aiuto? Un livido nell’anima è anche il tentativo di rispondere a queste domande e nasce con un’urgenza: far conoscere per riconoscere e prevenire. E’ un testo che accompagna gli adulti, piano piano e con rispetto, a conoscere il fenomeno e le particolarità della violenza psicologica che spesso si manifesta nell’ombra ma non per questo con meno incisività.

Quello dell’abuso psicologico, dello “scherzo tra ragazzi” al di là del limite, si realizza nel tempo, si insinua nella vita e nella sfera emotiva più intima, può riguardare tutti senza differenze di genere, età, cultura: i giovani ma anche gli adulti, nelle loro relazioni di coppia o lavorative (mobbing). Spesso il manipolatore, o il gruppo che manipola, illude il partner o l’amico che quello che si sta creando sia un rapporto “speciale”, fatto di confidenze e di esclusività. Ma tutto questo, velocemente, si trasforma: i colori non ci sono più, emergono dipendenza e sofferenza che ingabbiano. Come vedere allora, in qualcosa che si manifesta e si continua a perpetrare nell’invisibilità e sotto silenzio, che il proprio figlio o il proprio studente sono in una trappola? Come fermare e arrestare la caduta dei giovani nella rete del cyberbullismo?

Qualche segnale c’è e, a volte, prima della caduta c’è spesso una piccola scivolata: lì l’adulto può intervenire. Ad esempio Alice, attraverso un sintomo fisico, il vomito, lancia un messaggio rispetto al suo disagio. Dobbiamo tenere presente che la manipolazione opera sempre su due fondamentali leve emozionali: il senso di colpa e la paura. A ciò si aggiungono il tentativo di isolare la persona e l’utilizzo di una comunicazione, di un linguaggio aggressivo e/o seduttivo. Quali segni, sovente silenziosi e celati, possono interrogare un adulto? Innanzitutto quando il sociale non è più interessante, quando la scuola non è più appassionante, quando si isolano.

Accorgersi, ad esempio, che il proprio figlio utilizza meno il cellulare, si interessa meno al mondo web, a facebook. Anche quando mostra un’apatia che sembra non esprima più desideri e, la risposta a qualsiasi domanda, è “Non lo so, per me fa lo stesso”. Accade con frequenza che gli effetti della violenza psicologica si manifestino attraverso sintomi somatici: ad esempio disturbi del sonno, dell’alimentazione. C’è sempre un momento preciso nel quale la vittima di una manipolazione affettivo/relazionale percepisce che qualcosa non va, vive dentro di sé un peso effetto appunto di un livido nell’anima. Ma non sa come fare. 
Facilmente si isolano, non chiedono aiuto ma si rifugiano in un vissuto fatto di vergogna, paura di ritorsioni, imbarazzo, timore di non essere creduti. Altre volte si chiudono dietro alla speranza che prima o poi tutto possa finire oppure non si accorgono, non capiscono che il modo in cui l’altro li “mal-tratta” è una violazione soggettiva.

Ecco perché famiglia, scuola, ambienti sportivi hanno un ruolo decisivo: prevenire per impedire che a ciascun soggetto venga rubata, violata o sottratta la possibilità di essere rispettato. Il libro raccoglie l’esperienza clinica maturata non solo durante gli incontri con bambini e adolescenti, ma anche di donne, cadute nella rete di legami affettivi malati e abusanti. Il mondo del lavoro non è certo esente dalla possibilità di cadere vittime di una relazione manipolatoria, di mobbing.

La violenza psicologica si insinua sempre in maniera intrusiva, pervasiva, controllante e, priva del sussidio di prove empiriche, agisce in una dimensione di invisibilità e intimidazione. Questa è la difficoltà e, a volte, l’impossibilità per i soggetti abusati, di poter dire e chiedere aiuto. Tali lividi nell’anima sono profondi e diversi rispetto alle tracce che la violenza agita lascia sul corpo. Anzi, spesso, sono la premessa di un atto violento. Ecco l’importanza più volte ribadita nel libro, di sensibilizzare gli adulti, ma anche bambini e giovani, sull’esistenza della manipolazione affettiva e le caratteristiche con cui si manifesta. Conoscere per potersi accorgere e riconoscere. Per i lividi nell’anima è possibile operare una prevenzione.

 
 

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